Non dire «Trebbiano Spoletino» se non ce l’hai nel sacco

Non dire «Trebbiano Spoletino» se non ce l'hai nel sacco
EDITORIALE –
C’è un virus pericoloso che si aggira nel mondo del vino italiano: quello dei vini bianchi e degli spumanti che sono «tutti buoni», a prescindere dal territorio e dalla vocazionalità dell’area, solo perché il mercato dei vini rossi è in estrema crisi (in Italia come all’estero, con pochi distinguo). Un cul-de-sac in cui rischia di essere banalmente risucchiato il Trebbiano Spoletino, forse tra i pochi vini bianchi italiani sotto ai riflettori come la “cosa nuova” del Bel Paese, sia a livello nazionale che internazionale, in buona compagnia di denominazioni luccicanti come il Derthona (Timorasso). Succede però che gli assaggi all’anteprima organizzata in questi giorni dal Consorzio Vini Montefalco e Spoleto non siano poi così all’altezza, nella media.

Il giudizio si riferisce a un numero tutto sommato limitato di Trebbiano Spoletino delle annate 2023, 2022, 2021 e 2020. Solo 22 campioni. Abbastanza, però, per dire ad alta voce che il lavoro compiuto sino ad oggi dai produttori non basta affatto per poter assicurare ai mercati una nuova stella. Il Trebbiano Spoletino, al momento, può vantare punte di qualità assoluta (poche), vini assolutamente nella media e lontani dal varietale (quasi il 50%) e un numero davvero preoccupante di vini che vanno dal banale al tecnicamente mediocre, soprattutto per la mancanza di precisione nella vinificazione (ancora troppi gli esempi in questa categoria, per un’appellazione che aspira a un posto d’onore tra le stelle del vino europeo e internazionale).

TREBBIANO SPOLETINO: PUNTE DI QUALITÀ SENZA MASSA CRITICA

Urge precisare che sono un amante dello “Spoletino” (a proposito: cosa ne è della proposta formale di modifica del nome del vitigno, ovvero dell’eliminazione della parola “Trebbiano” che andava di moda ai tempi della presidenza di “Sir” Filippo Antonelli?) e, proprio per questo, ritengo che la barra della qualità vada tenuta alta. Sul territorio, i punti di riferimento non mancano. Basti pensare (in rigorosissimo ordine alfabetico) ai Trebbiano Spoletino di Antonelli (ancora lui, pardon), Le Thadee, Ninni, Perticaia e Romanelli, da cui trarre spunto (e riferimenti assoluti) in termini di tipicità e carattere.

Troppa poca coerenza tra i campioni in degustazione, ben al di là dell’interpretazione aziendale, e una scarsa uniformità territoriale tra le vari “voci” del vitigno, rischia di bruciare sul nascere una denominazione che si appresta a raddoppiare la produzione nei prossimi anni, passando da 225 mila a mezzo milione di bottiglie, come annunciato nel discorso di apertura de “A Montefalco” dal presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco e Spoleto, Paolo Bartoloni.

Un motivo in più per credere nel Trebbiano Spoletino, con l’allargamento della zona di produzione che darà modo a diversi produttori – ne sono certo – di alzare ulteriormente il livello qualitativo medio di un vitigno che potrebbe rivelarsi decisivo per la stessa sussistenza economica di Montefalco (e Spoleto). Sempre, ovviamente, senza dimenticare i grandi, grandissimi vini rossi di quest’angolo d’Umbria. Se Dio vuole.

Più bottiglie di Trebbiano Spoletino: «Il Consorzio punta a mezzo milione»

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